IL TRIBUNALE 1. - Nei confronti di Testa Nicola Agostino e' stato emesso decreto di giudizio immediato in data 30 aprile 2001, notificato all'imputato in data 7 maggio 2001 ed al difensore in data 3 maggio 2001. All'udienza del 19 settembre 2001 il difensore munito di procura speciale ha proposto istanza di giudizio abbreviato. Non vi e' dubbio che allo stato della legislazione l'istanza dovrebbe essere dichiarata inammissibile perche' l'art. 458, del codice di procedura penale sanziona espressamente con la decadenza il mancato rispetto del termine di 7 (ora 15) giorni, per l'esercizio della facolta' di chiedere il giudizio abbreviato dopo la notifica all'imputato del decreto di giudizio immediato. Ne' e' corretto ritenere, come pure questo tribunale ritenne in passato, che l'art. 556 del codice di procedura penale, consenta nel rito monocratico la richiesta di patteggiamento e di giudizio abbreviato fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento. E' vero che il primo comma dell'art. 556, comma 1, richiama le disposizioni generali sui riti semplificati solo "in quanto compatibili" e che il capoverso contiene un espresso richiamo a norme diverse tra cui l'art. 555, del codice di procedura penale per ogni caso in cui "manca l'udienza preliminare". Peraltro il richiamo contenuto nell'art. 556, comma 2, del codice di procedura penale e' riferito alle diverse norme applicabili per ciascuno dei procedimenti richiamati (giudizio direttissimo, procedimento per decreto e giudizio a citazione diretta) e sarebbe errato attribuirgli portata derogatoria rispetto al giudizio immediato che e' un procedimento speciale regolato da una propria disciplina. Nonostante l'ambiguita' del testo, tale norma non prende in considerazione il giudizio immediato ma solo quei riti la cui disciplina e' richiamata. Sarebbe del resto assolutamente irragionevole una diversita' di disciplina tra giudizio immediato monocratico e collegiale che vedesse il primo piu' garantito del secondo. E' dunque concretamente rilevante la questione di costituzionalita' dell'art. 458 del codice di procedura penale in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione nella parte in cui non consente che, in caso di giudizio immediato l'imputato possa proporre istanza di giudizio abbreviato fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. 2. - La norma denunciata crea un'ingiustificata disparita' di trattamento, con riguardo al diritto di difesa tecnica, tra l'imputato nei cui confronti sia stato emesso decreto di giudizio immediato e quella contro il quale si proceda con giudizio ordinario, con citazione diretta o con giudizio direttissimo. In tutti questi casi il termine ultimo per la scelta dei riti alternativi del patteggiamento e del giudizio abbreviato e' fissato in un'udienza in cui l'imputato e' garantito dall'assistenza obbligatoria del difensore: il termine dell'udienza preliminare in caso di giudizio ordinario (artt. 438, comma 2, e 448, comma 1, del codice di procedura penale), l'apertura del dibattimento in caso di giudizio direttissimo (artt. 452, comma 2, e 558 comma 8, del codice di procedura penale) e di citazione diretta a giudizio (art. 555, comma 2, del codice di procedura penale). Per contro l'esercizio obbligatorio della facolta' di accedere a riti alternativi mediante istanza da presentarsi fuori udienza entro un termine perentorio accomuna ingiustificatamente il caso del giudizio immediato al procedimento per decreto (artt. 461, 464 e 557 del codice di procedura penale), nonostante per quest'ultimo il diverso rapporto tra esigenze di speditezza e garanzie difensive, si giustifichi per la specie della pena che puo' essere irrogata e per i molteplici benefici sostanziali e processuali che vengono applicati fin dal momento della emissione del decreto (riduzione della pena inflitta, non iscrizione nel casellario giudiziale, concessione dei benefici di legge). 3. - Non pare possa mettersi in discussione l'importanza della scelta dei riti alternativi nel nostro ordinamento per le numerose implicazioni sostanziali e processuali, come pure il rilievo decisivo che la difesa tecnica assume nell'orientare correttamente l'imputato in tale scelta. Un tale ausilio e' garantito nell'udienza preliminare o in dibattimento dalla partecipazione necessaria del difensore di fiducia o d'ufficio, mentre nei giorni seguenti alla notifica del decreto di giudizio immediato e' meramente eventuale, rimesso alla diligenza dell'imputato, che non ne comprende necessariamente l'importanza. Sarebbe formalistico, piu' che formale, ritenere che la facolta' di scelta dei riti alternativi sia salvaguardata in modo analogo dall'avviso, contenuto nel decreto di giudizio immediato, della possibilita' di "chiedere il giudizio abbreviato" (art. 456 del codice di procedura penale) a meno di ritenere che per il comune cittadino (o per il comune imputato) un tale avviso sia equivalente a quella informazione - sintetica ma pregnante - che egli puo' trarre nel corso dell'udienza da un breve scambio di parole con l'avvocato o con lo stesso Pubblico ministero (si pensi alle conseguenze che la riduzione del rito puo' comportare in ordine alla concessione della sospensione condizionale della pena). Una tale disparita' di trattamento costituisce violazione dell'art. 3 della Costituzione, non perche' il termine di 15 giorni sia troppo ristretto o inadeguato ma perche' in tutti i casi assimilabili l'ordinamento non rimette alla discrezione dell'imputato l'assistenza difensiva ma la assicura facendo coincidere la scadenza del termine per la proposizione dell'istanza di riti alternativi con un'udienza in cui la presenza del difensore e' obbligatoria. 4. - Se dunque sussiste un'oggettiva disparita' di trattamento resta da chiedersi se tale diseguaglianza si giustifichi per via della peculiarita' del giudizio immediato e dei suoi presupposti. Sul punto devono prendersi le mosse dai motivi delle sentenze n. 122, del 6 maggio 1997, e n. 407, del 17 dicembre 1997, con cui la Corte costituzionale che ha rigettato la questione di costituzionalita' relativa al breve termine stabilito dall'art. 458 comma 1 del codice di procedura penale, per la richiesta di giudizio abbreviato. Nel 1997 la Corte ritenne che non poteva essere considerata lesiva del diritto di difesa, ne' irragionevole disparira' di trattamento la differenza tra il termine di 7 giorni previsto dall'art. 458 del codice di procedura penale, decorrente dalla notificazione del decreto di giudizio immediato all'imputato e quello di 15 giorni previsto a seguito di citazione a giudizio nel procedimento pretorile perche' i diversi termini trovavano giustificazione nell'evidenza della prova e nell'indispensabilita' del previo interrogatorio dell'imputato (o dell'invito a presentarsi rimasto senza effetto), entrambi presupposti del giudizio immediato. Si legge nella prima delle pronunce citate che "gia' dall'interrogatorio ... l'indagato e il difensore che lo assiste sono posti agevolmente in condizone di prevedere l'emissione del decreto di giudizio immediato e di approntare, quindi, la conseguente linea difensiva, in cio' comprendendosi evidentemente, anche le eventuali opzioni per la trasformazione di quel rito in giudizio abbreviato: scelte, queste che fra l'altro ben possono indurre al rilascio di una procura speciale in via preventiva ..........". Al contrario, nel procedimento pretorile "il decreto di citazione a giudizio ... ben puo' rappresentare - e nella prassi frequentemente rappresenta - il primo atto dal quale l'imputato viene ad apprendere ... del procedimento a suo carico e dell'accusa che gli viene mossa". A tali osservazioni potrebbe obbiettarsi che nell'interrogatorio davanti al pubblico ministero la partecipazione del difensore non e' necessaria e che l'imputato non puo' prevedere la scelta del pubblico ministero di chiedere il decreto di giudizio immediato non essendo questi obbligato a seguire tale strada anche quando ne ricorrano i presupposti. Pare tuttavia piu' significativo osservare che, mutato il quadro normativo, con la previsione dell'avviso ex art. 415-bis, del codice di procedura penale, a pena di nullita' anche nei processi a citazione diretta, gli stessi argomenti che allora indussero a ritenere ragionevole la disparita' di trattamento, devono oggi condurre a considerarla ingiustificata e dunque lesiva del principio di eguaglianza. Cio' appare ancor piu' evidente ove si consideri che nel caso di giudizio immediato l'avviso ex art. 415-bis, non e' previsto (anche perche' sarebbe incompatibile col termine di 90 giorni dell'art. 454, comma 1, del codice di procedura penale) e che le indagini potrebbero avere avuto sviluppi ulteriori, purche' l'interrogatorio abbia avuto ad oggetto i fatti da cui risulti l'evidenza della prova. Ma vi e' di piu'. Se nel 1997 si trattava di valutare la disparita' di trattamento tra un termine di sette giorni ed uno di 15 per l'esercizio di una facolta' da esercitare comunque fuori udienza e riferita esclusivamente al giudizio abbreviato, oggi l'alternativa al breve termine perentorio sarebbe costituita dall'esercizio in udienza di tale facolta' ed investirebbe anche il patteggiamento. Ne' varrebbe a giustificare una tale palese diseguaglianza il semplice riferimento al presupposto dell'evidenza della prova ove si consideri che le probabilita' della condanna sono solo uno degli aspetti che l'imputato deve ponderare nella scelta del rito che solo un difensore puo' spiegare all'imputato. Infine si puo' evidenziare, sconfinando dal terreno strettamente giuridico formale, che la perentorieta' del termine e la scarsa assistenza difensiva che l'ordinamento assicura all'imputato, si traducono in pratica in un minor numero di richieste di riti alternativi cosi' che, paradossalmente, questa scarsa attenzione per il diritto di difesa, lungi dall'accelerare il processo finisce con l'appesantirlo, costringendo le parti a dibattimenti altrimenti evitabili. Il tutto in contrasto con quel favore per i riti alternativi, ed in particolare del giudizio abbreviato, che ha caratterizzato la riforma del dicembre 1999.